Abbiamo sempre vissuto nel castello — Shirley Jackson

“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita falloide, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.”

Abbiamo sempre vissuto nel castello“, pubblicato per la prima volta nel 1962 ma edito in Italia da Mondadori nel 1990 con il titolo “Così dolce, così innocente”, è il secondo libro di Shirley Jackson che leggo. Mentre “L’incubo di Hill House” non mi ha convinta, “Abbiamo sempre vissuto nel castello” mi ha completamente rapita.

Il romanzo è ambientato in un luogo e un tempo indefinito e narra la storia di due sorelle Mary Katherine e Constance che vivono in una grandissima villa con lo zio Julian, costretto su una sedia a rotelle, e con il gatto Jonas. Sono gli unici superstiti di un episodio di avvelenamento in cui è stato sterminato il resto della famiglia, compresi i genitori delle due ragazze. Da allora non hanno più avuto contatti con il mondo esterno alla loro villa, tranne per le volte in cui Mary Katherine va a fare la spesa al villaggio, subendo gli insulti e gli scherni degli abitanti. Sì, perché tutti considerano Constance colpevole del triste avvenimento e per questo, nonostante il processo e la sua assoluzione, preferisce rimanere chiusa in casa e non avere nessun contatto con il mondo.

Le loro giornate sono scandite dalla solita routine fatta di piccoli gesti e rituali ripetuti e accompagnati sempre dalle stesse parole: lo zio scrive le sue memorie riguardo la sera dell’avvelenamento, Constance cucina e pulisce e Mary Katherine trascorre molto tempo nel bosco con il suo gatto, fantasticando di vivere sulla Luna e sotterrando oggetti in tutta la proprietà. Le loro giornate di ordinaria follia trascorrono tranquille fino all’arrivo del cugino Charles che resta ad abitare con loro, causando agitazione e malumore soprattutto in Mary Katherine. L’epilogo sarà tragico…ma le due sorelle si ritroveranno sempre più unite, separate questa volta del tutto dal resto del mondo.

Mary Katherine racconta in prima persona e ci porta dentro il suo mondo, fatto di piccole magie e di ingenua crudeltà. Ha una profonda adorazione per la sorella e un forte senso di protezione nei suoi confronti. Per questo, nonostante giriamo le pagine terrorizzati, siamo spinti a provare pietà e tenerezza per questi strani personaggi. L’immobilità e la suspence ci attanagliano: siamo sempre in all’erta, aspettando che succeda qualcosa da un momento all’altro, anche se poi non accade nulla! Dimentichiamoci infatti gli effetti o le descrizioni tipiche dei classici horror, niente grossi colpi di scena e niente scariche di adrenalina, ma solo un’agghiacciante tensione che ci invade per tutta la lettura. E questo è dovuto allo stile della scrittrice, alla sua scrittura pulita e lineare ma allo stesso tempo terribilmente angosciante.

La lettura di “Abbiamo sempre vissuto nel castello” mi ha lasciato un forte senso di smarrimento: forse perché restano molti quesiti irrisolti o forse perché nella realtà distorta in cui veniamo dolcemente accompagnati i nostri metri di giudizio vengono totalmente confusi e non sappiamo più chi è il bene e chi è il male.

Buon viaggio…

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