L’avversario di Emmanuel Carrère: un romazo-inchiesta.

“Impossibile pensare a questa storia senza immaginare che sotto ci sia un mistero, una spiegazione nascosta. Il mistero, però, è che non esistono spiegazioni, e che per quanto inverosimile possa sembrare, questo è ciò che è accaduto.”

È possibile provare a capire cosa passa nella testa di “un mostro”?

È quello che cerca di fare Emmanuel Carrère nel suo romanzo-inchiesta L’avversario, raccontando la storia di Jean Claude Romand, responsabile nel 1993 dell’omicidio della sua famiglia, un fatto di cronaca atroce che sconvolse la Francia.

Rimasto “affascinato” dall’accaduto, Carrère scrive a Romand e i due iniziano un rapporto epistolare in cui l’autore cerca di conoscere meglio la vita e il pensiero di quest’uomo che per anni ha mentito alla sua famiglia e ai suoi amici, arrivando poi a compiere un gesto così estremo. Cosa c’è nella testa di quest’uomo? Come passava le sue giornate? Cosa si nasconde nella sua mente? Trovare una risposta a queste domande è la molla che spinge Carrère a interessarsi al caso, assistendo anche a tutte le sedute processuali e leggendo centinaia di documenti.

“Mi sono chiesto cosa provasse Romand seduto in macchina. Un senso di appagamento? Un’euforia beffarda all’idea di riuscire a ingannare tutti quanti in modo così magistrale? Ero sicuro di no. Angoscia? Immaginava forse come si sarebbe conclusa quella storia, in quale modo sarebbe esplosa la verità e che cosa sarebbe accaduto in seguito? Piangeva, con la fronte appoggiata al volante? Oppure non provava assolutamente nulla? Forse invece, quando restava da solo, si trasformava in un automa capace di guidare, camminare e leggere, ma non di pensare né di provare sentimenti, un dottor Romand residuale e anestetizzato.”

La verità viene fuori durante il processo: un’educazione rigida e l’infanzia in una famiglia anaffettiva, costringono Romand a crescere chiudendosi in sé stesso. Sentendosi inadeguato tra i suoi coetanei, inizia a inventare storie per attirare la loro attenzione; una falsa aggressione, una malattia inesistente, una finta laurea e così via fino a creare una vita e un’esistenza completamente fittizia ma in cui è apprezzato, stimato e benvoluto da tutti. Un castello di carta che prima o poi sarebbe crollato “coprendosi di infamia e di ridicolo, le due cose al mondo che più lo spaventavano”. Piuttosto che affrontare questo peso, Romand decide di uccidere la moglie, i figli di sette e cinque anni e gli anziani genitori, per poi tentare il suicidio, dando fuoco alla casa. Rimane in coma un po’ di mesi e poi il resto della vita in carcere.

Attraverso le numerose lettere, Emmanuel Carrère riesce a ripercorre la sua vita, i suoi spostamenti, frequenta gli stessi luoghi e ne compie la stessa routine per cercare il perché di quelle azioni. Nonostante i dubbi circa il suo ruolo in questa vicenda, Carrère e Romand continuano a scriversi e riescono anche a incontrarsi una sola volta. Non nasce però tra i due nessun rapporto d’amicizia: Carrère si mantiene sempre cordiale, rispettoso ma distaccato non desiderando provare affetto né totale comprensione per Romand, al contario di quanto accade per esempio a Truman Capote che instaura un vero rapporto di amicizia con uno dei due assassini della famiglia Clutter, durante la stesura di A sangue freddo.

[…] trovavo quell’affetto così semplice, così naturale, ammirevole e al tempo stesso quasi mostruoso. Non soltanto io non ne ero capace, ma nemmeno lo desideravo. Non volevo arrivare al punto di bermi tranquillamente una storia inventata di sana pianta come quella dell’innamorata suicida proprio il giorno prima dell’esame, né convincermi come Roland che in fondo quel destino tragico era stato provvidenziale: “E pensare che ci sono volute tante bugie, tante coincidenze e quel dramma terribile per permettergli oggi di fare tutto il bene che fa attorno a sé…”

Ho apprezzato molto questo aspetto, mantenersi rispettoso ma neutrale in una vicenda come questa credo sia stata la scelta giusta. Scrivere romanzi di questo tipo credo sia davvero difficile, perché è inevitabile lasciarsi coinvolgere nella vita dell’assassino e convincersi a voler trovare un riscatto per l’azione commessa. Carrère si è sempre mostrato neutrale, non emotivamente coinvolto ma allo stesso tempo sempre rispettoso della persona e della sua storia vera e dolorosa, se pur incomprensibile ai nostri occhi. Fino alla fine della lettura non capiamo davvero chi è Jean Claude Romand, un uomo sempre pronto a fingere interpretando ogni volta il personaggio più adatto alla situazione. L’avversario è un romanzo che si legge in poco tempo ma che necessita di giorni per essere assimilato: una storia così atroce e agghiacciante non può non lasciare dei segni indelebili nelle nostre menti.

“Sono sicuro che non stia recitando per ingannare gli altri, mi chiedo però se il bugiardo che c’è in lui non lo stia ingannando. Quando Cristo entra nel suo cuore, quando la certezza di essere amato nonostante tutto gli fa scorrere sulle guance lacrime di gioia, non sarà caduto ancora una volta nella rete dell’Avversario?”

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