
” Si poteva anche schiaffeggiarlo sul polso per quelle parole, ma poi le avrebbe dette con la faccia, e si poteva anche sculacciarlo perché faceva smorfie, ma poi avrebbe parlato con gli occhi, e la correzione aveva dei limiti: non c’era modo, alla fine, si penetrare quelle iridi azzurre ed estirparne il disgusto.”
Le Correzioni di Jonathan Franzen narra della famiglia Lambert. A St. Jude, una cittadina immaginaria del Midwest americano, vivono Alfred ed Enid, una coppia ormai anziana sposati da tanti anni, che trascorrono le loro giornate accumulando ricordi e oggetti inutili e cercando di gestire al meglio i sintomi del Parkinson che sta colpendo Alfred.
I loro tre figli vivono a Est, tra Philadelphia e New York, e, concentrati nelle loro vite, si occupano poco dei genitori, tanto da considerarli spesso “un peso” per le loro carriere e per le loro relazioni. Gary, il figlio maggiore, è direttore di banca, benestante, sposato con tre figli ma è anche depresso, soggiogato e soffocato dalla moglie che, tra ricatti infantili e metodi educativi alternativi, gestisce la famiglia come meglio crede senza coinvolgerlo. Chipper è il secondogenito, l’intellettuale di famiglia ma anche anche quello meno affidabile e responsabile. Dopo aver perso il posto da insegnante al college a causa di una relazione con una studentessa, Chip si dedica alla sua sceneggiatura, arrangiandosi come meglio può come correttore di bozze. In realtà sopravvive grazie ai prestiti della sorella Denise, una Chef di successo, strapagata e acclamata dalla critica delle principali testate giornalistiche. La sua vita privata è però un disastro: reduce da un divorzio, colleziona relazioni sbagliate, cercando di capire la sua identità sessuale.
I cinque protagonisti sono ampiamente descritti e analizzati; ad ognuno di loro è dedicato un capitolo del romanzo in cui Franzen zooma sul loro passato, sul loro presente, sulle loro emozioni ed aspettative. Entriamo dentro a ognuno di loro, sentendoli vivi, veri ed empatizzando con le loro difficoltà. Da figlia posso infatti capire la sensazione di soffocamento che una madre invadente e sempre pronta a giudicare provoca nei figli e allo stesso tempo capisco l’angoscia, il dolore e l’imbarazzo di occuparsi di un padre malato e fuori di sé. Alfred è infatti gravemente colpito dal Morbo di Parkinson e dalla demenza senile e ha bisogno di assistenza continua. Dell’ingegnere e dell’uomo rigido e anafettivo che era, ne rimane ben poco, sempre più sconvolto dalle allucinazioni e dai sintomi delle sue malattie. Per Enid prendersi carico del marito non è semplice: lei che ha sempre sofferto per la mancanza di attenzioni e per la freddezza di Alfred, che ha vissuto nella speranza che cambiasse il suo carattere, si ritrova anziana a doversi occupare di un “bambino capriccioso” e a dover rinunciare anche a viaggiare, il loro unico piacere. Per questi motivi concentra tutte le sue energie nell’organizzare un ultimo Natale a St. Jude con tutta la famiglia riunita, insistendo e tartassando i figli.
“La loro indole li avrebbe spinti ad abbracciarlo, ma quell’indole era stata corretta.”
Ma quindi le correzioni cosa c’entrano, perché questo titolo?
Perché i protagonisti sono sempre occupati a correggersi e a correggere. Chip è già all’ottava correzione della sua sceneggiatura e non sembra esserne mai soddisfatto; Denise, dopo ogni relazione fallita, cerca di correggersi e di trovare il suo ruolo nella coppia e nella società; anche Gary cerca di correggersi e di cambiare il tiro ogni volta per assecondare la moglie e non far crollare il suo matrimonio. Ma è soprattutto Enid che da sempre prova inutilmente ad apportare correzioni nella vita dei suoi figli, seguendo canoni perbenistici e bigotti della classe medio-boghese americana.

Franzen critica duramente la società contemporanea, fondata sul consumismo, sull’apparenza e priva di valori veri e solidi. C’è un passaggio che mi ha particolarmente colpita perché in modo simile lo sento dire spesso anche ai miei nonni.
“Alfred sapeva cosa si aspettava da lui la modernità. La modernità si aspettava che andasse in un grosso discount a sostituire le luci guaste. […] Era molto meglio, pensò Alfred, restarsene nascosto nel seminterrato e lavorare con quello che aveva. Buttare via una fila di lampadine utilizzabile al novanta per cento offendeva il suo senso della misura. Offendeva anche il suo senso di sé, perché lui era un individuo in un’epoca di individui, e una fila di luci era, come lui, un’entità individuale. Anche se l’aveva pagata poco, gettarlo via avrebbe significato negare il suo valore e, di conseguenza, il valore degli individui in generale: designare volontariamente come spazzatura un oggetto che non lo era affatto. La modernità si aspettava quella designazione e Alfred vi si opponeva.”
Purtroppo viviamo in una società in cui il denaro, l’effimero e l’invidia ne sono le fondamenta e Franzen ci spinge a riflettere sui veri valori, quelli che resistono alla mode e che ci aiutano a superare i momenti difficili: il rispetto, l’unità famigliare, l’aiuto reciproco e l’amore. Franzen dà vita a una famiglia che potrebbe essere la nostra, con tutte le difficoltà e le incertezze della società moderna, e dà voce ai nostri pensieri, anche a quelli più meschini, che spesso non abbiamo il coraggio di rivelare. Affronta temi importanti come lo scambio generazionale, il rapporto tra genitori e figli con le reciproche aspettative e mancanze, la vita coniugale con tutte le sue difficoltà e soprattutto il problema della malattia, che sconvolge tutti gli equilibri di una famiglia.
Un romanzo ampio e denso, giustamente considerato un “Grande Romanzo Americano”. Ho apprezzato molto la scrittura di Franzen, scorrevole e moderna; ho fatto un po’ fatica in alcune divagazioni mentre ho trovato incredibilmente comiche e divertenti alcune scene. Nel complesso il romanzo mi è piaciuto molto e, anche se ho impiegato un bel po’ di giorni per finirlo, lo avrei ricominciato subito molto volentieri! 😉