Ruggine americana di Philip Meyer: la società che corrode gli animi

Presto raggiunse il punto panoramico: verdi colline ondulate, un fiume fangoso e serpeggiante, un tratto di foresta interrotta solo dalla cittadina di Buell e dall’acciaieria. Anche l’acciaieria prima era stata una piccola città, ma l’avevano chiusa nel 1987, e parzialmente smantellata dieci anni dopo; ora sorgeva com un antico rudere, con gli edifici coperti di dulcamara, persicaria e ailanto. Le impronte dei cervi e dei coyote formavano una trama fitta sul terreno; ogni tanto ci si accampava un vagabondo. Eppure era una città pittoresca: file ordinate di case bianche abbracciavano il fianco della collina, campanili di chiese e strade di ciottoli, le cupole alte e argentee della cattedrale ortodossa. Un posto che fino a poco tempo prima godeva di un certo benessere, il centro pieno di edifici storici in pietra, quasi tutti sprangati con le assi ormai. In certe zone facevano ancora finta di raccogliere l’immondizia, ma altre erano completamente abbandonate. Buell, Contea di Fayette, Pennsylvania.

Ruggine americana, Philipp Meyer

Questa zona della Pennsylvania è stata per decenni il cuore della produzione siderurgica americana fino a quando negli anni ‘80 la crisi scatenata dalla concorrenza estera, giapponese ed europea, non costrinse i vari stabilimenti a una riorganizzazione: iniziarono i primi licenziamenti, gli orari lavorativi diminuirono fino ad arrivare all’inevitabile chiusura di molte fabbriche. Dal 1997 al 2002 sono 31 le acciaierie chiuse e 46mila i posti di lavoro persi.

In questo scenario di abbandono dobbiamo immaginare le storie dei sei protagonisti di Ruggine americana, romanzo d’esordio di Philip Meyer pubblicato nel 2009 molto apprezzato dalla critica americana e straniera e vincitore di alcuni prestigiosi riconoscimenti, tra cui Miglior libro da “The New York Times”, “Los Angeles Times” e “The Economist”.

Dobbiamo immaginare una piccola cittadina immersa nella natura, dove la vita scorre tranquilla, dove avere un lavoro sicuro e ben retribuito da la sicurezza per crearsi una famiglia, avere l’assicurazione sanitaria, comprarsi una casa e progettare il futuro. La perdita del lavoro mette fine a tutto questo. Chi può si sposta per cercare lavoro altrove, in pochissimi rimangono e riescono a reinventarsi mentre i più finiscono in povertà o dediti a loschi traffici. Tutti sono infelici.

Isaac, Billy, Grace, Lee, Henry e Bud. Ognuno di loro, nonostante età e posizione sociale diversa, ha rinunciato a qualcosa, non ha preso la decisione giusta al momento giusto e adesso si ritrova a vivere con un fardello di rimorsi. Chi per l’attaccamento alla famiglia, chi per egoismo, chi per la paura del cambiamento, ha rinunciato alla sua occasione e, nonostante provino o almeno pensino di provare a migliorare la loro situazione, si ritrovano sempre a tornare al punto di partenza; quello che li blocca è più forte della spinta a cambiare.

Scappare o restare, pensare al proprio futuro o restare vicino alla famiglia, fare la cosa giusta o deludere e far soffrire qualcuno a cui vuoi bene: questo dualismo di sentimenti è il tema che accomuna ogni personaggio e ogni storia. Anche chi eccezionalmente “ce l’ha fatta”, è mangiato dai sensi di colpa per le conseguenze delle sue scelte  che, inevitabilmente, ricadono sulle persone a cui vogliono bene, impedendogli di viverle con serenità. Così come la ruggine consuma le fabbriche abbandonate, lasciando l’ameno paesaggio naturale deturpato da monconi di cemento e acciaio, i rimorsi delle scelte fatte e non corrodono gli animi dei personaggi, incapaci di dare una scossa alle loro vite. 

L’unico deciso a provarci è il povero Isaac: dotato di straordinaria intelligenza è deciso a lasciare tutto per andare al college ma darà il via a una serie di spiacevoli vicende che coinvolgeranno tutti i personaggi, soprattutto Billy Poe, il suo unico amico. Entrambi potrebbero essere l’emblema del sogno americano, genio il primo e campione di football al liceo il secondo, entrambi avrebbero avuto la loro possibilità di sfondare se solo non provenissero da una realtà che schiaccia e soffoca i sogni e le aspirazioni dei suoi abitanti.

 “C’era qualcosa di tipicamente americano nell’incolpare se stessi della propria sfortuna, quel non voler credere che la propria vita risentisse dei fenomeni sociali, la tendenza ad attribuire i grandi problemi al comportamento individuale. L’altra faccia del sogno americano.”

Non solo quindi romanzo di formazione, ma anche romanzo di denuncia sociale: vengono criticate le autorità per il progressivo abbandono delle cittadine dopo la chiusura delle acciaierie, vengono  denunciate le scarse condizioni di sicurezza all’interno delle fabbriche e viene criticato più volte il concetto di sogno americano. Sono gli stessi protagonisti che mettono in discussione il sistema attraverso i loro pensieri, ricordando episodi successi e analizzando la società che li circonda. Il narratore esterno è infatti spesso schiacciato senza tanti complimenti dai loro flussi di coscienza, che prendono il sopravvento. In queste occasioni, la mancanza di punteggiatura rende all’inizio la lettura un po’ complicata ma andando avanti è l’aspetto che ho apprezzato di più: ogni capitolo è dedicato a uno dei personaggi e, l’uso di questo stile narrativo, ci permette di entrare nella testa dei personaggi, di capire come ragionano, cosa provano e quali sono le loro vere aspirazioni. Riusciamo a conoscerli in profondità, addentrandoci nel loro animo sfibrato dalle tante delusioni.

Ho davvero apprezzato l’esordio di questo scrittore ancora poco conosciuto o comunque poco citato dalle persone che conosco e dai canali che seguo che da voce all’America povera e infelice, facendo da amplificatore a tante problematiche tipiche di questo paese che vengono spesso nascoste da una coperta di ricchezza, benessere e splendore. È cosi che abbiamo imparato a conoscere questo paese perché é così che ci é stato mostrato in televisione e nei film ma, come ho imparato recentemente attraverso tante letture, non é sempre oro quello che luccica e testi come Ruggine americana ci mettono di fronte a questa realtà.

”Alla fine era solo ruggine. Ecco la vera essenza di quel posto.”

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