Ciao a tutti e bentornati o benvenuti nel mio blog!
Oggi vorrei ricapitolare insieme a voi alcune delle mie ultime letture: tre titoli, tre autori di diverse nazioni e tre storie completamente diverse! Vi avevo mai detto di essere una lettrice onnivora? Beh, si capisce… 😉

Il primo libro di cui vorrei parlarvi è uno degli ultimi successi di uno scrittore italiano che adoro, di cui ormai ho letto quasi tutti i libri, molto apprezzato in Italia ma anche all’estero, con milioni di copie vendute: sto parlando di Donato Carrisi e del suo La casa delle voci, pubblicato per Longanesi nel 2019. Pescato per caso in libreria, tra l’altro in versione economica, La casa delle voci si aggiudica l’ultimo gradino del podio nella classifica dei migliori libri letti fin adesso di Donato Carrisi. Tra l’altro il seguito del libro La casa senza ricordi, è già uscito in libreria e io l’ho acquistato subito, curiosa di avere ancora a che fare con Pietro Gerber e i suoi pazienti.
Di recente ho visto un’intervista in cui Donato Carrisi diceva che da sempre gli sarebbe piaciuto scrivere un thriller senza l’elemento crime, cioè senza assassino e senza vittime. Beh, che dire… ci é riuscito alla grande! La casa delle voci é un geniale thriller psicologico, capace di tenere il lettore con il fiato sospeso a macinare pagine e pagine senza che ci sia un’assassino da inchiodare o una vittima da salvare all’ultimo minuto. Donato Carrisi indaga questa volta le nostre paure più profonde, quelle che tutti da bambini abbiamo avuto e che, ormai adulti, siamo conviti di aver superato. Ma basta poco per farle tornare a galla.
Per un bambino la famiglia é il posto più sicuro della terra. Oppure, il più pericoloso.
La casa delle voci, Donato Carrisi
Il protagonista é Pietro Gerber, famoso psicologo infantile conosciuto come “l’addormentatore di bambini”: tramite la pratica dell’ipnosi, Pietro scava nei ricordi di bambini abbandonati o maltrattanti, cercando di ricostruire il loro passato traumatico e incastrare i colpevoli. La sua vita viene stravolta dalla telefonata di una collega australiana che gli comunica l’imminente arrivo a Firenze di una sua paziente, Hanna Hall e gli chiede di aiutarla: Hanna crede di aver ucciso il suo fratellino quando era una bambina e spera che attraverso l’ipnosi Pietro riesca a fare chiarezza sul suo passato. Malvolentieri Pietro accetta di seguire la paziente e fin da subito si crea uno strano legame tra i due, che va dall’ossessione all’attrazione. Hanna Hall é una donna molto misteriosa e inquietante, ha un segreto e é a conoscenza di cose che non potrebbe sapere, che riguardano anche lo stesso Pietro. Indagando nei ricordi di Hanna, Pietro sarà stranamente costretto a fare i conti con il proprio passato e con i propri mostri, scoprendo una verità sconvolgente! Chiaramente un libro che si legge tutto di un fiato!
E da una casa passiamo a un’altra casa, quella “alla fine del mondo” di Michael Cunningham.
Una casa alla fine del mondo é il romanzo d’esordio di Michael Cunningham, scrittore americano conosciuto sopratutto per Le ore, il romanzo con cui ha vinto il Premio Pulitzer nel 1999. È il primo libro che leggo di Cunningham ed ho trovato la sua scrittura a dir poco meravigliosa. Con questo suo tocco intimo e pacato, quasi un sussurro, lo scrittore tratta di temi importanti: primo fra tutti l’amore, tra marito e moglie, tra due amici, tra due uomini con tutti i suoi pro e contro, la paura di meritarlo e l’insicurezza nel far valere i propri sentimenti, la paura della morte, l’incertezza del futuro e la voglia di crearsene uno.
Siamo a Cleveland in Ohio, a fine anni ‘60 e i due protagonisti, Bobby e Jonathan si incontrano per caso in fila alla mensa della scuola e subito scatta subito una grande amicizia. Bobby comincia a frequentare sempre più assiduamente la casa di Jonathan, si chiudono in camera, fumano e ascoltano la musica. Jonathan inizia a vestirsi come lui, a imitarne gli atteggiamenti e piano piano tra i due nasce qualcosa che va al di là dell’amicizia, ma che non é nemmeno amore: é bisogno l’uno dell’altro. Le loro strade si dividono al momento del college: Jonathan parte per New York, mentre Bobby rimane a Cleveland e lavora come panettiere e pasticcere, tentando il sogno di aprire un ristorante, aiutato anche da Alice, la mamma di Jonathan. Quando il suo tentativo di mettersi in proprio fallisce, raggiunge Jonathan a New York, dove adesso lavora come giornalista gastronomico. Qui entra in scena Clare, la coinquilina di Jonathan, e tra i tre nascerà un rapporto unico. Hanno bisogno l’uno dell’altro e si sentono una famiglia. Riescono a esprimere loro stessi solo quando sono insieme, da soli sentono sempre la mancanza di qualcosa, di un pezzo che li faccia sentire vivi e felici. Tre individui stravaganti, fuori dal comune e con un passato non semplice alle spalle: bisognosi di affetto e di attenzioni, per sopperire alle loro mancanze.
La storia però in qualche modo non decolla come mi aspettavo. Le loro vite vanno avanti, si susseguono progetti, perdite, nascite, grandi cambiamenti ma allo stesso tempo il loro rapporto non evolve e rende stagnate la vicenda. Di sicuro leggerò altro di questo autore, probabilmente proprio il suo romanzo più famoso, perché la sua scrittura delicata e premurosa mi ha decisamente conquistata!
L’ultimo libro di cui voglio parlarvi ci porta lontano a scoprire le tradizioni e la storia dell’Iran. Sto parlando de L’illuminazione del susino selvatico di Shokoofeh Azar, libro finalista all’International Booker Prize 2020. Non conosco niente di questo paese e per me rappresenta il primo approccio alla letteratura del Medio Oriente. Infatti ho cercato di informarmi un po’ per provare a inquadrare meglio la storia.
Siamo a Teheran negli anni della Rivoluzione Islamica, quindi tra 1978 e 1979, e la famiglia protagonista del romanzo, proveniente da una dinastia di studiosi eccentrici e benestanti, è costretta a fuggire per lo scoppio delle rivolte. Si rifugia nei boschi del Mazandaran, più precisamente nello sperduto villaggio di Razan, immerso in una secolare foresta. Qui la famiglia, o meglio ciò che ne resta, tenta di superare le profonde perdite materiali (in un incendio hanno perso migliaia di libri, alcuni in edizioni antiche e preziose e strumenti musicali) e i gravi lutti subiti. Ma con il passare del tempo, gli scontri e la violenza arrivano anche al villaggio e ognuno dei protagonisti troverà un proprio modo per imporre la propria libertà e ribellarsi al regime nascente: c’è chi una mattina parte, lasciandosi tutto il dolore alle spalle, e inizia a camminare per chilometri e chilometri, chi si chiude in un guscio di silenzio e chi lentamente si trasforma in sirena e nuota via libera.
La componente magica in questo romanzo è fondamentale all’intento della scrittrice: il folklore e le tradizioni più antiche e mistiche del popolo iraniano sono usate come strumento per denunciare gli abusi e la violenza della Rivoluzione. Anche se faccio abbastanza fatica con questo genere di letture, in questo caso ho apprezzato molto l’utilizzo del fantastico e il messaggio dell’autrice risulta ancora più potente. Due facce dello stesso paese si trovano a confronto: il legame alla natura, alle tradizione e alle credenze folkloristiche si scontrano con la violenza e gli ideali della Rivoluzione, sottolineandone tutta la barbarie e gli orrori commessi. Una lettura interessante e originale, una delle migliori del 2021!
“Cioè, se la vita è così banale e difettosa, perché l’immaginazione non dovrebbe completarla rendendola più viva?”
L’illuminazione del susino selvatico – Shokoofeh Azar
Alla prossima! 🙂